PJ Harvey è una grande artista, attiva da quasi 20 (sic!) anni nel mondo indie, anche se capace di muoversi orizzontalmente su terreni sonori diversi e non necessariamente alternativi, con l'unica costante di essere sempre un'antagonista. Troppo personale e disturbante Polly Jean per essere adatta a vaste platee. Anche se, va detto, il successo l'ha ottenuto, sia di critica che di pubblico, una specie di plebiscito nel mondo indie, ma con anche significative incursioni in un ambito più allargato. Io ho seguito la sua carriera in maniera discontinua, tanto fui folgorato da To Bring You My Love, quanto rimasi parzialmente deluso dai successivi lavori. Così lascia PJ Harvey da parte per un po'...
Let England Shake è l'ottavo album di PJ e l'ho ascoltato un po' per caso e un po' perchè l'eco delle ottime recensioni ricevute non poteva non giungermi. La Polly Jean di questo album non c'entra più nulla con l'elettrica e disturbante artista di To Bring You My Love, è altro oramai, non è in guerra con se stessa, appare al contrario in grande equilibrio, consapevole delle proprie qualità, capace di cantare come mai forse aveva fatto prima e di inseguire la melodia in maniera diretta, quasi ovvia, senza temere la banalità.
Perchè PJ Harvey banale non riuscirebbe ad essere neanche volendo, il suo talento come autrice fa si che ogni canzone sia impreziosita da spunti creativi sempre sorprendenti e di altissimo livello. La 12 tracce di Let England Shake hanno una netta impronta folk, ben appoggiata su una base ritmica solida e ricca di sottesa energia. La scrittura è apparentemente lineare, ma proprio quando una canzone pare scivolare verso l'ovvio arriva, sempre, una geniale sferzata che rende straordinario ciò che fino a quel punto era buono.
Let England Shake è un album straordinario, da ascoltare assolutamente! A cominciare da The Words That Maketh Murder.