Difficile sbagliare coi Pink Floyd, in linea di massima fai sempre bella figura. Gli appassionati di musica annuiranno con gravità, dando la loro preziosa approvazione, mentre gli altri, mal che vada, canticchieranno felici Wish you were here o Another brick in the wall. A parte le reazioni altrui i Pink Floyd non si discutono, il dibattito può nascere quando si analizza la loro considerevole produzione e se ne valutano i momenti di massimo splendore.
Io il primo periodo, gli anni '60 psichedelici e barrettiani, non l'ho mai sopportato: ho provato a più riprese a cogliere la grandezza di questi incensatissimi album ma proprio non ce l'ho fatta. I Pink Floyd per me sono il genio di Roger Waters e la sublime Fender di David Gilmour, il resto è prosa. Con Atom Heart Mother ha inizio l'era della grandezza che raggiunge l'apice in tre album: The Dark Side of the Moon (cupo e solare, sfavillante nell'utilizzo misurato della psichedelia, maestoso nelle parti strumentali), Wish You Were Here (l'intro strumentale in cui Gilmour sublima il meglio di se', e poi un brano meglio dell'altro, lirici ed ispirati) e The Wall (Il Concept Album, felice ostaggio dei fantasmi di Waters e della sua migliore vena creativa: poesia e rock). I Pink Floyd "finiscono" con The Final Cut: un album molto bello anche se da molti non è amato. Roger Waters saluta la compagnia, gli ex-amici litigano furiosamente e di fatto i tre reduci si trasformano nella band di David Gilmour, vivono di ricordi ed incidono album dignitosi, ben fatti e perdibilissimi. La carriera solista di Waters è pure peggio, al costante (e vano) inseguimento dell'equilibrio che trovò con Gilmour.